
Vi racconto una storia. E’ una storia di grande empatia a prima vista, quasi un colpo di fulmine, in un posto affollato.
Siamo al Gourmet Food Festival 2017 di Torino, io e La Moglie. Ad un certo punto, io vado seguire uno show cooking, una lezione di cucina, un seminario, chiamatelo come volete, dello Chef Gianfranco Pascucci. Mi passo la mia bella oretta a sentire lui che mi spiega come cucinare il Cefalo Bosega, godo dell’assaggio e poi selfie d’ordinanza e saluti.
Esco e provo a raggiungere La Moglie che, come incarico personale, doveva andare a comprare i prodotti che avevamo selezionato nel giro perlustrativo di inizio mattinata.
La trovo con gli occhi a cuore che mi dice “ho comprato una roba buonissima che tu non avevi nemmeno visto, troppo buona, spettacolare”. Belin, dico io nel mio idioma tipico.
Non resta che assaggiare e vedere se, una volta in più, La Moglie mi stupisca e centri perfettamente il mio gusto, come praticamente sempre accade.
E si. Ci ha preso.
Il prodotto in question è il Patè di Cladodi prodotto dall’azienda HD di San Cono (CT) e brandizzato “FICO Esser Buoni”. Questi brillanti imprenditori si sono inventati una intera linea di produzione basata su quasi il 100 per 100 del fico d’india: non lavorano solo la buonissima polpa del frutto, infatti, ma anche i semi, le bucce e i cladodi.
Ma cosa sono i Cladodi? Sono le pale: attenzione non sono foglie, come ad un primo sguardo potrebbe venire in mente, ma proprio fusti dell’intera pianta del fico d’india.
Ad ogni modo, a noi che siamo solo ghiottonastri golosi, poco importa della botanica fine a se stessa, quanto il prodottino sciccoso che ci si pone davanti alle fauci sempre pronte.
E il Patè di Cladodi è davvero una sorpresa. Deriva dalla cottura dei cladodi e dall’aggiunta, per ottenere il prodotto finito, di senape, aceto, limone e peperoncino (oltre ad altri aromi naturali e sale). Va da sè che il Patè abbia una connotazione acida e piccante veramente ben marcata, interessante, che fa il paio con un gusto vegetale che per certi versi può ricordare il fagiolino. La consistenza è quella di un patè classico, un pochino più fibroso di uno a base di fegatini, penso sia ovvio.
Vi garantisco che la sequenza di pensieri sarà:
1) mmm, curioso sto prodotto;
2) ma sai che è buono, acidino, piccante, ci sta;
3) cacchio, che roba spaziale;
4) (TONO COMPULSIVO) con cosa lo abbino, con cosa lo abbino, con cosa lo abbinoooo?
E ve lo dico io, per uscire dall’empasse: con un fillet mignon cotto nel burro, crea un accompagnamento perfetto. Con un wurstel, di quelli seri alla tedesca, è un abbinamento notevole per il suo ricordo di senape che, si sa, col wurstelazzo è la morte sua.
Su una fetta di pane tostato, spalmato finemente a creare uno strato omogeneo e coperto con una bella dose abbondante di mortazza col pistacchio.
Sto sbavando, ho la tastiera che quasi non funziona piùafgjrwgpjwpog.