Dovendo iniziare, come per la sezione Ricette, ho insindacabilmente deciso di partire con il botto. Da una parte, quindi, una ricetta complessina, qui la recensione del miglior ristorante in cui io e mia moglie si sia mai stati: semplicemente, Piazza Duomo ad Alba (CN).
Si, parlo proprio del tristellato guidato dal genio di Enrico Crippa, chef eclettico ed estremamente brillante a detta di ogni guida gastronomica. Non posso far altro che confermare il trend delle recensioni che si trovano ad ogni angolo del web: è davvero spaziale come lo si dipinge. Dal vivo è persino bello l’affresco del suo ristorante che, dalle immagini reperibili in rete, sembra un confetto…tutt’altro, la decorazione è estremamente riuscita ed adeguata all’ambiente.
Ma parliamo di cibo, ‘zzo ce ne frega degli affreschi a noi altri. Devo però anticipare che, diversamente dai siti dove la recensione è fatta da professionisti, qui le foto ai piatti, questa volta più di altre che seguiranno, fanno un po’ pietà. Tutto ciò è dovuto al senso di rispetto verso il luogo sacro che implica quel minimo di ansia da smarronamento (“che figura da barboni” ci siamo detti alla prima foto io e la moglie…ma tant’è…).
Inoltre, avviso ai lettori, la recensione è LUNGHISSIMA.
Abbiamo iniziato con l’aperitivo di Piazza Duomo: abbiamo bevuto un ottimo Cocchi Totocorde Alta Langa Docg e dall’esatto istante in cui si inizia a pensare che qualcosa di magico sta per accadere…esso accade davvero. Leviamoci subito il pensiero del pane e dei grissini: buoni, panini alla nocciola spettacolari, ma voglio andare al dunque (non mi si offenda il panettiere del ristorante, tutto buono eh, ma…belin, i piatti….sbav).
Lentamente, ma non troppo, e inesorabilmente, parte una lunga proposta di piatti e piattini, amouse bouche, uno più spettacolare dell’altro, con una sequenza di sapori e buon gusto nella presentazione davvero di livello paradisiaco. Si passa con una certa sinuosità dal cavolo Pak Choi con una sorta di panatura a freddo (alghe, qualche pescetto essiccato, sesamo e tanta magia crippiana) che porta immediatamente in Giappone, alle finte olive (tartare di scampi in un caso, tartare di vitello nell’altro), muovendosi tra cialde di vario genere (quella croccante di patate e acciughe, una chips fortemente aromatica, era davvero incredibile), cannolo di oliva con ricotta e sgombro, e molto altro. Poi, lo show vero e proprio: un quartetto composto da una cialda di mais (e fin li..), una spugna di bietola con salsina alle acciughe (se non erro) e polvere di cappero, una sorta di hossomaki di radicchio con caviale, nocciola e moooolto altro, e, infine, la regina degli stuzzichini. Dicesi: spuma di gingerino Recoaro e Foie Gras. Una roba da mille e una notte, a mia moglie si sono girati gli occhi dal piacere gastronomico indotto da questa piccola poesia culinaria.
Dopo l’interminabile, quanto splendida, serie di amuse bouche, è iniziato il vero menu. Considerato che andremo in questo ristorante poche altre volte nella vita, abbiamo ovviamente optato per il menu più sperimentale, Evasione e Territorio. Undici portate descritte qui nel seguito.
Mandorla e Ricci – una delle cose più buone e evocatrici mai mangiate. Il mare in bocca, alleggerito sapientemente dalla presenza della mandorla. Ricci ghiacciati con gelato alla mandorla da un lato, un boccone di iceberg, alghe e maionese speciale da scofanarsi con le mani, tutto in una volta, dall’altro. Divino. A fianco, per accompagnare, cialdina al wasabi, tanto per non dimenticarsi che l’Oriente è li a portata di mano.
Insalata di Uova e Uova – una valanga di foglie dai sapori più disparati (e pazzeschi, alcune), non ricordo quante fossero, condite con caviale, caviale pressato, uovo marinato e burro (se non erro, alla nocciola). Forse, ma dico forse (perchè io ho molto spazio interno, mentre mia moglie lamentava un eccesso) un po’ troppo abbondante come piatto. Messo nell’insieme di un menu lungo e impegnativo come quello scelto, anticipato dalla sequenza di aperitivi, in effetti un pochino troppa roba (sebbene godosa).

Latte di Cetriolo e Gamberi – forse il piatto che mi ha stupito maggiormente, una volta che la responsabile di sala (ah, servizio in sala da urlo, bravissimi tutti) lo ha descritto. Praticamente, l’Olimpiade del cetriolo in ogni sua declinazione umanamente valutabile. Li per li, il cervello ti dice “belin, ma che è sta roba, tutto cetriolo???”, poi anche lui si arrende all’evidenza. Cetrioli marinati affogati in un’emulsione di cetrioli e yogurt, cetrioli in osmosi e gambero rosso crudo. Il tutto accompagnato da una cialda (alla mandorla? non ricordo benissimo e non vorrei dire una belinata) e dalle ricorrenti erbe, vero trait d’union della cucina di Piazza Duomo.

Merluzzo al verde – vero feticcio dello Chef, il merluzzo arriva nel menu in una composizione delicata e affascinante, ma non per questo meno importante al palato. Il bel pesciolino è cotto a bassa temperatura e accompagnato dalle bietole, sia fresche che in salsa. Quasi un piatto riflessivo, senza i contrasti di altre portate, ma perfetto dalla temperatura alle consistenze. Squisito. Ah, ça va sans dire, questa come tutte le altre salse era uno spettacolo di setosità e concentrazione di sapori. Maestria pura.

Zuppa di Olio di Semi di Vinacciolo – piatto complesso e forse, al mio gusto, quello leggermente più girato al basso di tutto il menu. Il nome del piatto, infatti, secondo me manca dell’elemento che maggiormente lo caratterizza: il Peperone di Senise bruciato. Buono come piatto, con il suo ovetto di quaglia pochè in mezzo, foglie, fiori e verdure del mitico orto di Enrico Crippa (da cui arrivano, se non il 100% poco ci manca, tutti gli ortaggi usati nel ristorante). Però la preponderanza del peperone nella zuppa rende il piatto..più piatto. Oh, a voler essere pignoli eh…comunque buono, non che fosse grammo.

Shirataki di Calamaro – se quello di prima mi aveva lasciato un po’ così, il piatto che ci giunge è una bomba. Calamaro lavorato in maniera aliena, non umana, accompagnato da semi di oliva, patè di oliva, maionese ai calamari e da intervallare con il brodo acido di limone e calamaro. Vi giuro, una roba che mi ha spettinato anche se son stempiato fino alla nuca. Un proiettile nelle papille gustative, buono oltremisura.
Cous Cous di Riso Fritto e Agnello – un bel piattone, per tutti quelli che temono che a un ristorante tristellato si esca con la fame (giuro che vi picchio se commentate con una puttanata del genere). Da un lato, riso fritto in non so quale interessante maniera, lasciato poi freddo per favorire il contrasto di temperature con la pancia di agnello cotta a lungo. A fianco, le costine di agnello brasate (DA URLO!!). Da qualche parte sul tavolo avevamo anche un brodo di accompagnamento che, se la memoria non mi inganna, era a base di funghi, ma…e va beh, mi son dimenticato di fotografarlo, che ci devo fare?
Insalata di Spaghetti al Pomodoro – questo piatto mi ha stupito, non so ancora, ad oggi, se in bene o in male. Perchè si tratta di un gioco, quasi una provocazione dello Chef: un’insalata fredda di “spaghetti” di pomodoro, sugo di pomodoro, burrata e basilico. Una nuova frontiera del sorbetto, un intervallo freddo per spezzare il ritmo delle portate. Un buon gusto ma secondo me, forse questo l’aspetto che mi ha lasciato un po’ stranito, mancava una piccola presenza di un elemento caldo. Un contrasto, anche minimizzato a favore del freddo, sarebbe stato super (per me, Enrico non ti offendere eh).
Piccione… – devo fare una premessa: io amo il piccione. E’ una carne che mi fa uscire di testa. Quindi, normalmente, ho aspettative altissime e non sempre è un bene, perchè c’è il forte rischio di rimanere delusi. Beh, non è questo il caso, Crippa sfodera un piccione antologico, accompagnato dalle verdurine del suo orto. Una prelibatezza assoluta.
Minestra di Frutta e Verdura – non riesco a dire quante verdure e frutti fossero presenti, rincorrendosi in uno dei piatti ormai iconici per il tristellato albese, una sorta di zuppa molto aromatica, con cubetti PERFETTI e una grattata, fatta al tavolo, di cioccolato bianco. Mamma mia, cosa cacchio era il brodino di fondo, non so dire quale fosse l’aroma che lo contraddistingueva, ma spazzolava il palato con forza!
Dolce Fortuna – la chiusura del menu sembra, all’arrivo in tavola, una pacchianata degna di un ristorante cinese. E invece si tratta di un esercizio di tecnica eseguito in maniera perfetta dai pasticcieri di Crippa. Sotto a una sfoglia impercettibile di mela e alchermes, è racchiusa una zuppa inglese (spa-zia-le), il tutto accompagnato da un sorbetto alla mela e alchermes (così per dire). Una bomba che stupisce, in pieno contrasto con l’aspetto giocoso del piatto.
A questo punto uno dice, “belin, abbiamo finito, che son pieno come un uovo?” No.
Resta da consumare un buon caffè e scofanarsi la piccola pasticceria e la immancabile frutta fresca (nel nostro caso, anguria con una fogliolina sapida che ci stava da Dio).
Ho quasi finito. Ve l’avevo detto che sarebbe stata LUNGHISSIMA. Chiudo con l’unica vera critica che mi sento di muovere a un ristorante che ha rasentato la perfezione assoluta, sia in termini gastronomici che di servizio. Non vuole essere una ricerca ossessiva del problema, quando di problema in realtà non si è trattato, visto il peso che poteva avere quanto segue. Ad ogni modo, trovo che sia una mancanza di eleganza assoluta far pagare l’acqua Lauretana 5 € a bottiglia in un conto per due persone che superava i 520 €. Cioè, io sono disposto a pagare qualsiasi cifra per l’idea, per l’arte dello Chef che, per me, vale un pittore rinascimentale, un architetto greco o qualsiasi altro esponente dell’arte che valga la pena ricordare. Ma, cazzo, la bottiglia di Lauretana a 5 € è un insulto alla mia intelligenza. O me la offri, compresa nel menu degustazione (e potresti pure prevederlo, sarebbe un gesto di grande umanità – dai da bere agli assetati), o me la fai pagare 2 € come la trattoria, perchè non ha nessun valore aggiunto.
Grazie.
Piazza Duomo
Piazza Risorgimento, 4
12051 Alba (CN)
Tel: +39 0173 366167 – www.piazzaduomoalba.it
grazie per aver ripostato la mia recensione!
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